Non parlare al pendolare I

La vita di un pendolare è sempre stata descritta da articoli stupendi che raccontano com’è svegliarsi tre ore prima dell’effettiva lezione da seguire per uscire nello notte al freddo e al gelo ed affrontare tutti i meccanismi di selezione naturale per riuscire a trovare un posto dove sedersi. Scomodi.

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Quello che ora voglio fare io è raccontare la mia personale esperienza e i casi umani che mi è capitato di incontrare nei miei lunghi viaggi università/casa.

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Innanzitutto c’è da dire che esistono diversi tipi di pendolari:

  • quelli con la compagnia da dieci persone che occupano un vagone in treno,
  • quelli solitari che ascoltano la musica cercando di trovare un senso e di capire come si sono ritrovati in quella situazione (possono viaggiare anche in più amici, ma senza conversazioni, IO),
  • quelli con ventordici valige e che quindi devono PER FORZA occupare quattro posti anche se sono da soli,
  • quelli che mangiano Mcdonald a qualsiasi ora del giorno,
  • quelli che si fanno già la fila di stizze in ordine da fumare anche tutte contemporaneamente una volta finito il viaggio,
  • quelli che ti parlano e tu vuoi solo dormire quindi taci,
  • e quelli senza biglietto (e qui si aprirà una supergigaenorme parentesi).

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Da due anni a questa parte ho visto e sono scappata da praticamente tutte queste persone, a volte anche da più di loro contemporaneamente.

Marzo, treno delle 7.28, sabato.

Ho deciso di partire con il botto, con l’incontro più definiamolo ‘particolare’ che abbia mai fatto. Come ho già detto, era sabato mattina, l’alba, il treno era praticamente vuoto, c’eravamo solamente io e una mia amica. Alla fermata successiva sale un signore, abbastanza anziano ma di età indefinita, una di quelle persone che si capisce non se la passa molto bene; si siede ovviamente nei posti vicini ai nostri. Con tutta la tranquillità del mondo -e sempre con una specie di occhiali da sole addosso- inizia a tirare fuori dalla tasca un sacchettino del tabacco; inizialmente la mia allora mente ingenua pensava dovesse solamente rollarsi una sigaretta per il dopo. Stolta me. Inizia a sparpagliare il tabacco su tutto il tavolino/bancalino che affianca i sedili, e con cura inizia a tagliarlo come fosse cocaina con Serena Van Der Woodsen negli anni d’oro. Con sguardo sempre più preoccupato cerco di capire cosa sta facendo, e io e la mia amica ci guardiamo intorno con aria interrogativa, sperando che qualcun altro stesse assistendo alla scena rivoluzionaria. Poco dopo il nostro amico tira fuori dal sacchetto del tabacco una cannuccia molto piccola e sottile e SWISSH, come se non fosse niente si tira su dal naso una striscia di tabacco; fa lo stesso con le altre (io ammutolita e immobilizzata), poi pulisce un po’ il bancalino, mette a posto, e torna a fare le sue cose ‘normali’. Erano le otto del mattino. Tabacco. Su per il naso.

La mia amica mi ha confermato il fatto che avessi uno sguardo shoccato per le seguenti quattro ore (il tempo di svegliarmi e finalmente capire), ma di tutti i casi umani che ho visto passare per i treno, questo resterà sempre uno dei migliori/peggiori forever. In seguito ho rivisto il nostro amico barbone-strafattone prendere il nostro stesso treno un altro paio di volte, ma mai la stessa scena.

Questo era solamente uno dei miei tanti amici casi umani, in ogni post ce ne sarà uno nuovo così scoprirete che spesso le leggende metropolitane sono vere.

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Anna F.

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